Attila
József
(1905-1937)
Attila József nacque a Budapest nel 1905 (morì suicida a Balatonszarszo
nel 1937), cresciuto nella miseria fece vari mestieri, riuscì a com
piere gli studi universitari, partecipò al movimento operaio ma ne fu
espulso perché ritenuto non in linea con l'ortodossismo. I suoi versi
furono raccolti postumi con il titolo Tutte le poesie e traduzioni
poetiche (1938). Esse si affidano a un dettato riccamente metaforico e
simbolico, non privo di accensioni mistiche. Temi principali:
l'esistenza e le aspirazioni del proletariato sullo sfondo di desolati
paesaggi urbani; il pesante condizionamento che le esperienze
dell'infanzia esercitano sull'adulto; la volontà e l'ansia di istituire
un fervido rapporto umano con i propri simili.
Saluto a
Thomas Mann
(Thomas Mann üdvözlése, 1937)
Come un bambino che riposare vuole,
arrivato al letto finalmente,
ti prega: resta e racconta,
(così della notte non ha paura)
e quando il suo piccolo cuore batte forte,
non sa neanche lui, cosa vuole,
la fiaba o che tu resti là:
così ti preghiamo, siediti qui tra noi e racconta.
Ripeti ciò che hai detto, sebbene ci ricordiamo,
racconta che sei tra noi e noi siamo con te insieme,
noi che abbiamo la sorte del mondo nel cuore.
Tu lo sai, il poeta non mente mai,
dì la verità, non solo il reale,
racconta la luce, che ci illumini la mente,
perchè siamo nel buio se non siamo insieme.
Come Hans Castorp vedeva il corpo di madame Chauchat,
così ci vediamo illuminati dai raggi X ora.
La tua voce calda non è disturbata da alcun rumore,
raccontaci pure, cos'è bello, cos'è male,
dal lutto al desiderio alzando il nostro cuore.
Abbiamo appena seppellito povero Kosztolànyi*,
e l'umanità è consumata da Stati mostruosi,
e noi chiediamo con orrore: cosa verrà ancora?
da dove arrivano queste ideologie perverse,
dove si prepara il veleno, che ci verrà dato,
e fino a quando potrai leggerci ancora?...
Si tratta di restare uomo chi è uomo,
e donne le donne, gentili e libere,
e tutti umani, perchè l'uomo è sempre di meno...
Accomodati, prego, e comincia la fiaba.
Ti ascolteremo e ci sarà a chi basterà guardarti,
perchè contento di vedere un europeo tra i bianchi.
Quello che
nascondi nel cuore
(Amit szívedbe rejtesz*)
Quello che nascondi nel cuore,
aprilo agli occhi,
quello che ti pare di vedere,
aspettalo nel tuo cuore.
Di amore si muore,
chi è vivo - dicono
ma la felicità ci vuole,
ci manca come un pezzo di pane.
Chi è vivo, rimane sempre un bambino,
e vuole tornare nel grembo materno
o si ama o si uccide,
campo di battaglia o letto nuziale.
Sarai tu l'ottantenne, che
ucciso dalla nuova generazione,
mentre muori
generi milioni col tuo sangue.
Tu la spina nel piede
non ce l'hai più,
e dal tuo cuore
scappa anche la morte.
Quello che ti pare di vedere,
con la mano devi prendere,
quello che nascondi nel cuore,
uccidilo o bacialo forte.
Note: *per 80.compleanno di Freud
Come nel campo...
(Mint a mezőn..., 1936)
Come nel campo il bambino
raggiunto dal temporale,
e non c'è casa o madre
dove potesse andare,
il cielo pesante e furioso romba,
sul campo svolazza la paglia,
e lui come animale mugola,
piangerebbe, ma ha paura,
sospirerebbe, ma d'improvviso
arriva un soffio gelido dal cielo,
e solo quando un brivido leggero
corre sul suo magro corpo e viso,
come un lampo improvviso
e la pioggia nera diluvia tutto
come se fosse suo pianto gigantesco,
che si accumula nei campi,
inonda l'erba, colma le fosse,
ne scava altre, ondeggia nel prato,
nel ruscello, anzi nel cielo,
e il bambino si avvia nel campo;
così mi sorprese il desiderio
selvaggio e improvviso
e cominciai a piangere,
sebbene fossi già uomo.
E su questa terra
bagnata di pianto
dove è difficile
alzare i piedi,
quando c'è fretta,
mi fermo ora.
Il suo desiderio
ignorerei se mi amasse.
Mamma
(Mama, 1934)
Da una settimana penso solo alla mamma,
sempre di nuovo mi fermo a ricordarla.
Lei che saliva in soffitta,
con un cesto pesante in mano, lesta.
Io ero ancora un uomo sincero,
urlavo e scalpitavo
che lasciasse il bucato ad un altro,
che portasse me lassù, in alto.
Ma lei andava e stendeva
Non mi sgridava, non mi guardava,
E i panni lucidi, fruscianti
Spiccavano il volo in alto.
Non piangerei più adesso, ma è tardi,
Vedo solo ora quanto è grande,
I suoi capelli grigi si muovono nell'alto,
scioglie il turchinetto nell'acqua del cielo.
Mia madre
(Anyám, 1931)
Una domenica verso sera
ha preso con due mani la tazza,
sorrise e stava là, seduta
nel crepuscolo, tranquilla.
Dai signori portava a casa
in un pentolino la nostra cena;
siamo andati a letto, e pensai
che loro mangiano assai.
Era mia madre, piccola, morì presto,
perchè le lavandaie muoiono presto,
i loro piedi tremano dalla fatica,
e la stiratura fa male alla testa.
Per montagna e nuvole
c'è il bucato e il vapore,
e per cambiare aria
puoi salire in soffitta!
Si ferma mentre stira,
la sua esile figura
venne infranta dal Capitale,
pensateci proletari!
Si è incurvata dal lavare,
non sapevo che fosse giovane;
nei sogni portava grembiule pulito
e la salutò il postino.
Ninna nanna
(Altató, 1935)
Chiude gli occhi il cielo,
Chiude gli occhi la casa,
sotto trapunta dorme il prato,
dormi piccolo Biagio.
Si abbassa la testa sulle zampe,
dorme l'insetto e l'ape,
con loro dorme il ronzio
dormi piccolo Biagio.
Dorme pure il tram
e mentre sonnecchia il rombo,
suona il campanello nel sogno,
dormi piccolo Biagio.
Sulla sedia dorme il cappotto,
si riposa anche lo strappo,
non si lacera più per oggi,
dormi piccolo Biagio.
Dormono la palla e il fischietto,
la gita e il bosco,
dorme pure il buon zucchero,
dormi piccolo Biagio.
Sarai gigante, e lo spazio,
come una biglia, in mano avrai;
basta chiudere l'occhio,
dormi piccolo Biagio.
Sarai pompiere o soldato,
pastore di bestie selvagge,
vedi si addormenta la mamma,
dormi piccolo Biagio.
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